IdT – Les idées du théâtre


 

Prologue

Didone. Tragedia di M[esser] Lodovico Dolce

Dolce, Lodovico

Éditeur scientifique : Clerc, Sandra

Description

Auteur du paratexteDolce, Lodovico

Auteur de la pièceDolce, Lodovico

Titre de la pièceDidone. Tragedia di M[esser] Lodovico Dolce

Titre du paratextePrologo

Genre du textePrologue

Genre de la pièceTragedia

Date1547

LangueItalien

ÉditionVenezia : Figliuoli di Aldo, 1547, in-8°. (Lien vers l’édition numérisée bientôt disponible)

Éditeur scientifiqueClerc, Sandra

Nombre de pages3

Adresse sourcehttp://www.opal.unito.it/psixsite/Teatro%20italiano%20del%20XVI%20e%20XVII%20secolo/Elenco%20opere/image98.pdf

Fichier TEIhttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/tei/Dolce-Didone-Prologo.xml

Fichier HTMLhttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/html/Dolce-Didone-Prologo.html

Fichier ODThttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/odt/Dolce-Didone-Prologo.odt

Mise à jour2015-02-21

Mots-clés

Mots-clés français

GenreTragédie

SujetPathétique

DramaturgieDéguisement ; amour

LieuCarthage

TempsDe l’action

Personnage(s)Cupidon déguisé en Ascagne ; Didon ; Enée ; fantôme de Sichée

Mots-clés italiens

GenereTragedia

ArgomentoPatetico

DrammaturgiaTravestimento ; amore

LuogoCartagine

TempoDell’azione

Personaggio(i)Cupido travestito da Ascanio ; Didone ; Enea ; fantasma di Sicheo

Mots-clés espagnols

GéneroTragedia

TemaPatético

DramaturgiaDisfraz ; amor

LugarCartago

TiempoDe la acción

Personaje(s)Cupido disfrazado de Ascanio ; Dido ; Eneas ; fantasma de Siqueo

Présentation

Présentation en français

Lodovico Dolce a longtemps été jugé comme un polygraphe sans talent, un simple « ouvrier de la littérature » qui « ne fut jamais un artiste »1. Depuis quelques années, on a toutefois essayé de mieux évaluer sa personnalité, en mettant en lumière les mérites qui peuvent être attribués à cet écrivain, collaborateur éditorial prolifique de Giolito à Venise et auteur de tragédies, comédies, traductions, poèmes épiques, observations linguistiques, traités d’art, et plus encore2. La Didone est la troisième tragédie que Dolce fait imprimer à Venise, en 15473. Dans l’Argument, placé entre la dédicace et le prologue, il fournit des indications qui concernent la composition de l’œuvre. La source de l’histoire de Didon et Enée est, naturellement, Virgile, mais l’auteur dit s’être autorisé des licences poétiques, suivant l’exemple des auteurs de tragédies antiques4. Dolce ne parle toutefois pas d’autres textes qu’il eut aussi sous la main, en particulier les réécritures contemporaines de Alessandro dei Pazzi, de Giovambattista Giraldi Cinzio et de son ami Pietro Aretino5. Le prologue, prononcé par Cupidon, déguisé en Ascagne, procède à des anticipations, selon le modèle de Sénèque, et situe notamment l’action à Carthage. Sur les quatre-vingts vers, vingt-quatre sont des hendécasyllabes6 ; les autres sont des septénaires ; on y trouve beaucoup de rimes suivies ou à distance, dont le nombre augmente vers la fin7, ainsi que de nombreux rappels de la langue lyrique (Pétrarque, Bernardo Tasso, Poliziano, Bembo)8. Cupidon est présenté comme une divinité omnipotente, capricieuse et cruelle, qui se nourrit « de sang et de pleurs » et qui n’hésite pas à garder son déguisement d’Ascagne (sur lequel Dolce insiste à plusieurs reprises) pour se venger des malheurs infligés à Enée par Junon. Le rôle attribué à Cupidon est donc bien plus ample que dans l’Énéide : le dieu ne se borne pas à faire tomber Didon amoureuse d’Énée, mais décide, un an après et apparemment de sa propre volonté (et il faut noter la présence continue, à l’intérieur du prologue, des formules « io voglio », « i’ vo’ »), de pousser la reine de Carthage à la mort, et sa ville à la ruine.

Présentation en italien

Su Lodovico Dolce ha a lungo pesato il giudizio di poligrafo senza grande talento, di semplice « operaio della letteratura » che « non fu mai un artista »9. Da alcuni anni si è tuttavia cercato di rivalutare la sua figura, sottolineando alcuni dei meriti attribuibili a questo letterato, prolifico collaboratore editoriale dei Giolito a Venezia e autore di tragedie, commedie, volgarizzamenti, poemi epici, osservazioni linguistiche, trattati d’arte, e altro ancora10. La Didone è la terza tragedia stampata dal Dolce a Venezia, nel 154711. Nell’Argomento, posto tra la lettera di dedica e il prologo, egli fornisce alcune indicazioni riguardanti la composizione dell’opera. La fonte della storia di Didone ed Enea è, prevedibilmente, Virgilio, ma l’autore afferma di essersi concesso alcune licenze, sull’esempio dei tragediografi antichi12. Il Dolce tuttavia tace su altri testi che pure ebbe presenti, in particolare le riscritture contemporanee di Alessandro dei Pazzi, Giovambattista Giraldi Cinzio e dell’amico Pietro Aretino13. Il prologo, recitato da Cupido in forma di Ascanio, fornisce alcune anticipazioni, secondo il modello senecano, e localizza inoltre la vicenda a Cartagine. Degli ottanta versi, ventiquattro sono endecasillabi14, mentre i restanti sono settenari ; abbondano le rime a contatto e a distanza, che si infittiscono sul finale15, e molte sono le reminiscenze dal linguaggio lirico (Petrarca, Bernardo Tasso, Poliziano, Bembo)16. Cupido è presentato come una divinità onnipotente, capricciosa e crudele, che si nutre « di sangue e di pianto » e non esita a prolungare il travestimento da Ascanio (sul quale il Dolce insiste a più riprese) per vendicarsi dei torti fatti a Enea da Giunone. Il ruolo affidato a Cupido è quindi notevolmente amplificato : infatti egli non si limita a far innamorare Didone ed Enea, ma, passato un anno da quella fatidica notte, decide, apparentemente di sua spontanea volontà (e si noterà la continua presenza, all’interno del prologo, dell’espressione « io voglio », « i’ vo’ »), di spingere alla morte la regina cartaginese, e alla rovina la sua città.

Texte

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Prologo

Cupido in forma d’Ascanio

{4} Io, che dimostro in viso,
Alla statura, e ai panni17,
D’esser picciol fanciullo,
Sì come voi mortale,
5    Son quel gran dio, che’l mondo chiama Amore ;
Quel, che pò in cielo e in terra,
E nel bollente Averno18,
Contra di cui non vale19
Forza né uman consiglio ;
10    Né d’ambrosia mi pasco20,
Sì come21 gli altri dei,
Ma di sangue e di pianto.
Nell’una mano io porto
Dubbia speme, fallace22, e breve gioia ;
15    Nell’altra affanno, e noia23,
Pene, sospiri, e morti.
Già per dodici segni è corso il sole24,
Che la mia santa madre25
Depor mi fece l’ali,
20    La faretra e li strali26,
E qua venir nell’abito ch’io vesto,
Perch’io del suo figliuolo
E mio fratello Enea
Accendessi Didone27
25    (Reina28 di Cartagine, che tale
Della città, che qui vedete è il nome)29
{NP 4} Con quella face30 ardente,
C’ho nel mio petto ascosa31.
Il che subito i’ fei32,
30    Ch’ella mi strinse al seno
Sotto immagine falsa
Del pargoletto mio nipote caro33 :
E d’occulto veneno34
L’ebbi il misero cuor colmo e ripieno35.
35    E benché questa mia mentita forma
Per una notte sola
E non più fu bisogno36,
Pur ritenerla ancor mi godo e giova
Per far un’altra prova37 :
40    Ch’i’ voglio tosto38, i’ voglio,
S’io sono, qual esser soglio39,
Ch’ell’apri il petto suo con altro ferro40,
Ch’io non adopro41, quando
Pongo riposo e pace
45    Dell’alme vostre in bando42.
Vo’, che la città nova
Si bagni del suo sangue,
E disperata e mesta43
L’alma44 scenda dolente al cieco inferno.
50    Vo’, che’l suo fine45 apporti
Altri pianti, e altre morti ;
E che donne e donzelle46,
Vecchi e fanciulli inermi
Vadano ai ferri e alle fiamme in preda47,
55    E saccheggiate sian palazzi e case.
Questo sarà per vendicarmi in parte
{5} E di passati e di futuri oltraggi,
Che la crudel Giunone
Ha fatto un tempo, e apparecchia48 ancora
60    All’innocente mio fratello invitto49.
Però discendo50 al fondo
De l’empia Stige51, e del suo cerchio fuora
Vo’ trar la pallid’ombra
Del misero Sicheo52
65    (Che ben impetrerò da Pluto53 questa
Grazia degna, ed onesta)
E vo’, ch’a Dido ella54 si mostri inanzi ;
Tolto prima d’Abisso
Una delle ceraste55,
70    Che in vece di capei, torte e sanguigne56
Alle tempie d’intorno
Ondeggiano di quelle
Furie spietate e felle,
Che sogliono voltar sossopra il mondo57 ;
75    E questa58 i’ vo’, che tutto l’empi il core59
Di sdegno e di furore60,
Fin ch’a morte trabocchi61,
E turbar vegga62 gli occhi
De la sirocchia altera63
80    Di quei, che move il sole, ed ogni sfera64.