IdT – Les idées du théâtre


 

Épilogue

Orbecche, tragedia di M. Giovanbattista Giraldi Cinthio, da Ferrara

Giraldi Cinzio, Giovanbattista

Éditeur scientifique : Zanin, Enrica

Description

Auteur du paratexteGiraldi Cinzio, Giovanbattista

Auteur de la pièceGiraldi Cinzio, Giovanbattista

Titre de la pièceOrbecche, tragedia di M. Giovanbattista Giraldi Cinthio, da Ferrara

Titre du paratexteLa tragedia a chi legge

Genre du texteÉpilogue

Genre de la pièceTragedia

Date1543

LangueItalien

ÉditionVenezia : Figliuoli d’Aldo, 1543, in-8° ; (Lien vers l’édition numérisée bientôt disponible)

Éditeur scientifiqueZanin, Enrica

Nombre de pages7

Adresse sourcehttp://www.opal.unito.it/psixsite/Teatro italiano del XVI e XVII secolo/Elenco opere/image449.pdf.

Fichier TEIhttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/tei/Giraldi-Orbecche-Epilogue.xml

Fichier HTMLhttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/html/Giraldi-Orbecche-Epilogue.html

Fichier ODThttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/odt/Giraldi-Orbecche-Epilogue.odt

Mise à jour2013-02-06

Mots-clés

Mots-clés français

GenreTragédie

SujetNoble

DramaturgieRespect / transgression de la Poétique d’Aristote ; réception de Sénèque

RéceptionDestination aristocratique ; publication

FinalitéÉdification ; divertissement

MetadiscoursMétadiscours

Mots-clés italiens

GenereTragedia

ArgomentoNobile

DrammaturgiaRispetto / trasgressione della Poetica di Aristotele ; ricezione di Seneca

RicezioneDestinazione aristocratica ; pubblicazione

FinalitàEdificazione ; divertimento

MetadiscorsoMetadiscorso

Mots-clés espagnols

GéneroTragedia

TemaNoble

DramaturgiaRespeto / transgresión de la Poética de Aristoteles ; recepción de Séneca

RecepciónDestino aristocrático ; publicación

FinalidadEdificación ; diversión

MetadiscursoMetadiscurso

Présentation

Présentation en français

Les textes liminaires de la tragédie Orbecche de Giraldi Cinzio présentent un intérêt critique certain pour diverses raisons, et notamment à cause de l’importance de l’Orbecche dans l’histoire de la dramaturgie européenne. La tragédie de Giraldi, représentée en 1541 et éditée à Venise en 1543, connaît un grand succès1 et fixe le modèle tragique qui domine en Italie jusqu’à la fin du siècle2. Le prologue et l’épilogue de la tragédie commentent et justifient les choix poétiques de son auteur, que Giraldi développe ultérieurement dans d’autres écrits critiques, et notamment dans ses Discorsi intorno al comporre (Discours autour de l’art de composer)3 une des premières poétiques moderne – et dans ses écrits contre la Canace de Sperone Speroni4. Dans le prologue et dans l’épilogue de sa première tragédie, Giraldi précise ses choix poétiques, qui seront ensuite repris et pratiqués par les auteurs tragiques italiens. En ce qui concerne la structure dramatique de la tragédie, il affirme préférer, aux modèles grecs, les tragédies latines et le genre de la nouvelle. Giraldi entend ainsi adapter le genre antique au goût du public moderne, en adaptant à la scène les intrigues des nouvelles, riches en péripéties et en fils secondaires. Il choisit ainsi de ne pas imiter les trames antiques, mais de composer des sujets « fictifs ». En imitant les tragédies de Sénèque, il rend l’acte violent plus sanglant, afin de soulever un plus grand sentiment pathétique. En ce qui concerne le cadre théorique de la tragédie, Giraldi entend adapter l’enseignement d’Aristote à la tradition critique de la comédie latine. Il introduit ainsi le prologue et il divise la tragédie en actes et en scènes. Giraldi contribue donc à fixer les normes de la tragédie italienne moderne: le succès de l’Orbecche éclipse provisoirement le modèle tragique hérité de Trissino, plus fidèle à la tradition grecque, et fonde le canon de la tragédie du Cinquecento. Trissino, dans sa Sofonisba, plus proche de la norme aristotélicienne, définissait la tragédie comme l’imitation d’actions élevées de personnages socialement et moralement nobles. Giraldi, en revanche, définit la tragédie en fonction du thème qu’elle traite – « larmes, soupirs, angoisses et morts violentes » – et des effets qu’elle suscite: « piété », « deuils », « pleurs ». Cette conception de la tragédie, certes simplifiée mais plus efficace sur le plan dramatique, va influencer durablement la théorie et la pratique de la tragédie moderne en Europe: Orbecche permettra d’exporter la théorisation dramatique de Giraldi non seulement en France5, mais aussi en Angleterre6.

Présentation en italien

I testi liminari della tragedia Orbecche di Giraldi Cinzio presentano un notevole interesse critico, per diverse ragioni. Una prima ragione riguarda l’importanza di Orbecche nella storia della drammaturgia europea. La tragedia di Giraldi, rappresentata nel 1541 e edita a Venezia nel 1543, conosce un grande successo7 e fissa il modello tragico dominante in Italia, fino alla fine del secolo8. Il prologo e l’epilogo della tragedia commentano e giustificano le scelte poetiche del suo autore, che Giraldi poi sviluppa in altri testi critici, quali i suoi Discorsi intorno al comporre9 – che costituiscono una delle prime poetiche moderne della commedia, della tragedia, delle satire e dei romanzi – e i suoi scritti contro la Canace di Sperone Speroni10. Nel prologo e nell’epilogo della sua prima tragedia, Giraldi precisa le sue scelte poetiche, che saranno poi riprese e praticate dai tragici italiani ulteriori. Per quanto riguarda l’impianto drammatico della tragedia, egli afferma preferire ai modelli greci le tragedie latine ed il genere della novella. Giraldi intende così adattare il genere antico al gusto del pubblico moderno, adattando alla scena le trame delle novelle – ricche in peripezie ed in fili secondari – scegliendo cioé di non imitare trame antiche, ma di comporre dei soggetti «  finti « . Imitando le tragedie senecane, egli rende più truce l’atto violento che chiude le tragedie, ed il pathos che ne deriva. Per quanto riguarda il quadro teorico della tragedia, Giraldi intende adattare l’insegnamento aristotelico alla tradizione critica della commedia latina. Egli introduce quindi un prologo e divide la tragedia in atti ed in scene. Giraldi contribuisce così a fissare la norma della rinata tragedia moderna: il successo dell’Orbecche eclissa provvisoriamente il modello tragico trissiniano, più fedele alla tradizione greca, e fonda il canone della tragedia cinquecentesca. Trissino nella sua Sofonisba, più prossima ai principi aristotelici, definiva la tragedia come imitazione di azioni elevate e di personaggi socialmente e moralmente illustri. Giraldi, invece, definisce la tragedia in base al tema trattato – « lagrime, sospiri, angoscie, affanni Et crude morti » – ed agli effetti del dramma: « pietade », « doglia », « pianto ». Questa concezione della tragedia, più semplice e più espressamente drammatica, influenzerà profondamente la teoria e la pratica della tragedia europea moderna: Orbecche esporterà il pensiero critico giraldiano in Francia11, come pure più indirettamente in Inghilterra12.

Texte

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{60} LA TRAGEDIA A CHI LEGGE13

Tragedia

Venut’è homai il mio doglioso fine14,
Caro lettore15, et se potuto havessi
Di me medesma a voglia mia disporre
Stando nascosa, non havrei noiato
5     Co le dolenti mie querele alcuno.
Che quantunque io sapessi ch’i più saggi16
Preposero a ogni sorte di poema
La real gravità de la tragedia17,
Come color che ben vedean che nulla
10    Era nel mondo onde potesse havere
Lo stuolo human modo miglior di vita,
Non dimeno i’ vedea che sì cresciuta
(Mercè del guasto mondo) è la lascivia
Che non pur la Tragedia18 non è in pregio,
15     {NP 60}Ma il suo nome real’è odioso a molti19.
Ma poi c’han vinto il mio voler l’altrui
Voglie et costretta sono uscire in luce
Mal grado mio, s’èn te pietà ti prego
Ch’esser vogli ver me più tosto mite
20     Et benigno censor, ch’aspero et crudo:
Perché tu non aggiunga al mio dolore,
Ch’è dur da sé, col lacerarmi, affanno.
E se forse parrà ch’io non mi scopra
In quell’habito altero in che devrei,
25     Iscusimi la forza de’ martiri
Che tanto ogni desio d’ornarmi m’hanno
Tolto, che spesse volte ho havuto invidia
A le più rozze pastorelle, essendo
Ne l’humile lor’ habito riposo,
30     Ov’è ’l grave et real pieno di cure20.
Né mi dèi men pregiar perch’io sia nata
Da cosa nova et non da historia antica:
Che chi con occhio dritto il ver riguarda,
Vedrà che senza alcun biasimo21 lece
35     Che da nova materia et novi nomi
Nasca nova Tragedia22. Né perch’io
Da gli atti porti23 il prologo diviso
Debbo biasimo24 haver25, però che i tempi
Ne’ quai son nata et la novità mia
40     Et qualche altro rispetto occulto fammi
Meco portarlo: che ben pazzo fora
Colui il qual, per non por cosa in uso
Che non fosse26 in costume appo gli antichi,
{61} Lasciasse quel che ’l loco e ’l tempo chiede,
45     Senza disnor. Et s’io non sono in tutto
Simile a quelle antiche, è ch’io son nata
Testé da padre giovane27 et non posso
Comparir se non giovane28; ma forse
Potrà levare il dispiacer ch’ havrai
50     Del mio grave dolor, la verde etade.
Et che divisa in atti e ’n scene29 io sia,
Non pur non deve essermi ascritto30 a vitio,
Ma mi deve mostrar via più leggiadra31.
Che com’ un’huom fia strano mostro al mondo
55     Che non habbia distinte in sé le membra,
Così anch’io istimo che spiacevol fora
Vedermi in un tutta confusa32. Et bene
Seneca vide et i Romani antichi,
Quanto vedesser torto i Greci in questo33.
60     E ch’io sia grande et grandi habbia le parti,
Fuor de l’ordin non è de la natura34,
Anzi maggior beltà regna in que’ corpi
Che ne la spetia35 lor sono maggiori36.
E s’ad alcun, cui grave sia d’udire
65     Ragioni ch’a pietà possin piegare
Un animo disposto a la vendetta,
Troppo lungo parrà forse Malecche37,
Egli a sua volta lo si accorci, ch’io
Mai perciò non verrò seco a tenzone.
70     Né stran ti paia che le donne ch’io
Ho meco in compagnia sian via più saggie
Che paia altrui che si convenga a donne38.
{NP 61} Ch’oltre il lume, qual’ha de la ragione
Come l’huom la donna, Il gran sapere
75     Che chiude in sé quella sublime et rara
Donna, il nome di cui alto et reale
Con somma riverenza et sommo honore
Oscuramente entro a me chiaro serbo,
Far può palese a ogni giuditio39 intiero
80     Non pur quanto di pregio in sé haver possa
Donna gentil, ma che ’n prudenzia et senno
(Rimossa che ne sia la invidia altrui)
Agguagliar puote ogni saggio huom del mondo40.
Appresso non ti paia stran che i Ciri
85     Meco non habbia e’ i Dari et le Satipne41,
Quantunque i’ mi confessi esser di Persia:
Che da sì fatto biasimo iscusare
Mi può il mio nascimento, a chi ben mira42.
Né dee duro parere, ad huom che sappia
90     Che può desperazione et grave doglia
In cor di donna, che la figlia, senza
Speme alcuna rimasa nel dolore,
Dat’habbia acerba morte al crudo padre.
Et quantunque ne moia il fier tiranno,
95     Nessun di sceleragine43 giamai
M’accuserà che con sano occhio miri
A qual pietade desti i cori humani
Il caso di coloro ond’io son nata44.
E s’havut’ha lo Stagirita duce,
100     Che tanto vide et tanto seppe et scrisse
Et di compor tragedie aperse l’arte,
{62} Nel darsi aperta morte la Reina
Ond’ho il nome io, per per fine al suo male,
Maraviglia non è se da le leggi
105     Del Venusino in ciò partissi et volle
Nel cospetto del popolo col ferro
Darsi con forte man la morte in scena45.
A que’ ch’a giri de le voci intenti
Vanno ansiosamente mendicando
110     Gonfie parole et epitheti gravi
Et d’horror ciechi et sanguinose46 morti,
D’Acheronti, di notti horride et nigre
Empion le carte lor se scrivon pianto,
Et s’allegrezza, altro da lor non s’ode
115     Che fiori, herbe, ombre, antri, onde, aure soavi47,
Rubin, perle, zaphir, topati et oro48,
Dirai ch’a scielta tal mi fece inetta
La forza del dolor che mi premea;
Et ho voluto haver più tosto duce
120     Con l’ornamento debito natura,
Che con pompose voci una finta arte49.
A’ molti ch’oggi scrivono volgare
E lascian l’uso de’ scrittori eletti,
Fidandosi di sé per esser nati
125     In parte50 ove par lor che sia perfetta
La volgar lingua, ch’è senza alcun pregio
S’a lei non danno honor gli auttori51 antichi
Tu risponder potrai agevolmente,
Se forse contra me parlar vorranno,
130     Perché seguito in parte abbia il gran thosco52
{NP 62} Che per Laura cangiò l’Arno con Sorga53,
Et il buon Certaldese54, eterni et chiari
Lumi de la volgar dolce favella55.
Che tal fu la Romana et tal la Greca
135    Lingua, qual hora è la volgare et ambe
Non dal parlar comun, ma da scrittori
Che ’n esse si scoprirono eccellenti
Hebbero nome et tanto for pregiate,
Quant’era simil l’una et l’altra a quelli
140    Tre, quattro et sei c’havean la scielta fatta
Del meglio tra il parlar del volgo indotto.
E chionque nel dir cercava fama,
Seguia’ que’ scrittor buon, né si fidava
Di sé per esser nato in Grecia o ’n Roma.
145    è vero ben che per essere anchora
Vivo questo volgar grato idioma,
Giudico56 che sia lecito a chiunque
Scrive in tal lingua, usare alcuna voce
(Scielta però da singolar giudicio)
150    Che ne’ predetti toschi57 non si trovi.
Però a quei che ristretta han questa lingua
(Che in tal’opinione58 hoggi son molti)
Solo a le voci de due chiari thoschi,
Se voce è ’n me che non si trovi in essi,
155    Vo’ che risponda teco il divin Bembo,
Bembo divino59 che la volgar lingua
Tolt’ha dal carcer tenebroso et cieco
Regno di Dite, con più lieto plettro
Ch’Orpheo non fe’ la sua bramata moglie;
160    {63} E ’l Trissino gentil che col suo canto
Prima d’ognun dal Thebro et da l’Illisso
Già trasse la tragedia a l’onde d’Arno60;
Et il gran Molza61, il cui honorato nome
Vola con chiaro grido62 in ogni parte;
165    Et il buon Tolomei63 ch’i’ volgar versi
Con novo modo a i numeri latini
Ha già condotto e’ a la Romana forma;
E quel che ’n sino oltre le riggid’Alpi64,
Da Thebbe in Thoscano habito tradusse
170    La pietosa soror di Polinice65:
I’ dico l’Alamani66 che mi vide
Per mio raro destino uscire in Scena67.
Questi felici et pellegrini ingegni,
Co gli altri che seguiti han le lor orme
175    (Anchora che que’ due celebri auttori68
Habbiano in pregio tal qual deono haversi),
Cercando d’aumentar questa favella
Con ferma elettione et ver giuditio,
Han più tosto voluto procacciarsi
180    Con libertà lodevole di voci
Ch’aprano et lor concetti, che ’n prigione
Co ceppi a piedi rimanersi muti.
Lasciando adunque a te tal peso e’ a loro,
Attenderò, sotto il presidio raro
185    Del Signor sotto il cui favor son fuori69,
Ch’altri, da le mie voci forse desto,
In habito più altero et più onorato
Mostri Tragedie et di beltà più rare.
{NP 63} Perché a le virtù loro, a le lor doti,
190    A la mirabil lor rara bellezza
(Pur che non sia diforme al mio dolore)
Cercherò somigliarmi a mio potere.

IL FINE