Préface
La Dafne
Da Gagliano, Marco
Éditeur scientifique : Bucchi, Gabriele
Description
Auteur du paratexteDa Gagliano, Marco
Auteur de la pièceRinuccini, Ottavio
Titre de la pièceLa Dafne
Titre du paratexteAi lettori
Genre du textePréface
Genre de la pièceFavola per musica
Date1608
LangueItalien
ÉditionFirenze, Cristofano Marescotti, 1608, in-4°
Éditeur scientifiqueBucchi, Gabriele
Nombre de pages4
Adresse sourcehttp://books.google.fr/books?id=L_svAI7LFfEC&pg=PT4&dq=dafne+marco+da+gagliano&hl=fr&sa=X&ei=wHG2U_m6KeO10wWruoCQAQ&ved=0CDEQ6AEwAg#v=onepage&q=dafne%20marco%20da%20gagliano&f=false
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Mise à jour2014-11-07
Mots-clés
Mots-clés français
GenreFable en musique (origines, définition)
SourcesOvide, Métamorphoses, I, 438-451 (Python) et I, 452-56 (Apollon et Daphné)
Personnage(s)Prologue (Ovide) ; Apollon ; bergers ; chœur ; messager
ComédiensChanteurs : Caterina Martinelli, Francesco Rasi ; Antonio Brandi
ScenographieIllusion, merveilleux, effets de trompe-l’œil ; régie minutieuse de la représentation (jeu, costumes, accessoires) ; Cosimo del Bianco
RéceptionAristocratique et populaire
FinalitéDivertissement ; émotion ; émerveillement
AutreArt du chant ; priorité du texte sur le chant et la musique
Mots-clés italiens
GenereFavola per musica (origini, definizione)
FontiOvidio, Metamorfosi, I, 438-451 (Pitone) e I,452-567 (Apollo e Dafne)
Personaggio(i)Prologo (Ovidio) ; Apollo ; pastori ; coro ; nunzio
AttoriCantanti : Caterina Martinelli, Francesco Rasi ; Antonio Brandi
ScenografiaIllusione, meraviglioso, « inganno » del pubblico ; regia minuziosa della rappresentazione (recitazione, abiti, accessori) ; Cosimo del Bianco
RicezionePubblico aristocratico e popolare
FinalitàDivertimento ; commozione ; meraviglia
AltriArte del canto ; priorità del testo sul canto e sulla musica
Mots-clés espagnols
GéneroFábula con música (origen, definición)
FuentesOvidio, Metamorfosis, I, 438-451 (Pitón) et I, 452-56 (Apolo Dafne).
Personaje(s)Prólogo (Ovidio) ; Apolo ; pastores ; coro ; mensajero
Actor(es)Cantantes : Caterina Martinelli, Francesco Rasi ; Antonio Brandi
EscenografiaIlusión, maravilloso, efectos ; dirección minuciosa de la representación (actuación, trajes, indumentaria) ; Cosimo del Bianco
RecepciónAristocrática y popular
FinalidadEntretenimiento ; emoción ; admiración
OtrasArte del canto ; prioridad del texto sobre el canto y la música
Présentation
Présentation en français
Présentation en italien
Texte
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Ai lettori
{NP1} Ritrovandomi il carnoval passato in Mantova chiamato da quella Altezza per onorarmi servendosi di me nelle musiche da farsi per le reali nozze del Serenissimo Principe suo Figliuolo e della Serenissima Infanta di Savoia1, le quali, essendo differite a maggio dal signor Duca, per non lasciar passar que’ giorni senza qualche festa, volle fra l’altre che si rappresentasse2 la Dafne del signor Ottavio Rinuccini da lui con tale occasione accresciuta e abbellita3, fui impiegato a metterla in musica : il che io feci nella maniera che ora vi presento. E benché io ci usassi ogni diligenzia, e soddisfacessi all’esquisito gusto del poeta, non di meno voglio pur credere che l’inestimabil diletto che ne prese non pure il popolo, ma i principi e cavalieri e i più elevati ingegni, non nascesse tutto dall’arte mia ; ma ancora da alcuni avvertimenti che si ebbero in detta rappresentazione. Però4, insieme con le musiche, ho voluto farvi parte di essi ; a fine che nel miglior modo che io possa la faccia vedere ancora a voi in queste carte ; perciò che in simili affari non è il tutto la musica : sonci molt’altri requisiti necessari, senza i quali poco varrebbe ogni armonia, ancorché eccellente. E qui s’ingannano molti, i quali s’affaticano in far gruppi, trilli, passaggi5 ed esclamazioni6, senza aver riguardo per che fine e a che proposito. Non intendo già privarmi di questi adornamenti, ma voglio che s’adoperino a tempo e luogo come nelle canzoni de’ cori, come nell’ottava « Chi da’ lacci d’amor vive disciolto »7, la quale si vede ch’è messa in quel luogo a posta per far sentire la grazia e la disposizione del cantore, il che felicemente conseguì la signora Caterina Martinelli8 la quale con tanta leggiadria la cantò, ch’empiè di diletto e di meraviglia tutto il teatro. Richiedesi ancora l’esquisitezza del canto ne’ terzetti ultimi : « Non curi la mia pianta o fiamma o gelo9 », dove può il buon cantore spiegar tutte quelle maggiori leggiadrie che richiegga il canto, le quali tutte s’udirono dalla voce del signor Francesco Rasi, che, oltre a tante qualità, è nel canto singularissimo10. Ma dove la favola non lo ricerca, lascisi del tutto ogni ornamento ; per non fare come quel pittore, che sapendo ben dipignere il cipresso, lo dipigneva per tutto. Procurisi in quella vece di scolpir le sillabe, per far bene intendere le parole, e questo sia sempre il principal fine del cantore in ogni occasione di canto, massimamente nel recitare, e persuadasi pur ch’il vero diletto nasca dalla intelligenza delle parole.
Ma, prima di mantener la promessa, credo che non sarà disutile, né lontano dal nostro proposito il ridurvi in memoria come e quando ebbero origine sì fatti spettacoli, i quali, non ha dubbio alcuno, poiché con tanto applauso sono stati ricevuti nel loro primo nascimento, che non sieno, quando che sia, per arrivare a molta maggior perfezione, e forse tale che possano un giorno avvicinarsi alle tanto celebrate tragedie degli antichi greci e latini ; e vie maggiormente se da gran maestri di poesia e musica vi sarà messo le mani ; e che i Principi, senza il cui aiuto mal puossi condurre a perfezione qual si voglia arte, saranno loro favorevoli.
Dopo l’avere più e più volte discorso intorno alla maniera usata dagli antichi in rappresentare le lor tragedie, come introducevano i cori, se usavano il canto e di che sorte, e cose simili, il signor Ottavio Rinuccini si diede a compor la favola di Dafne, il signor Iacopo Corsi, d’onorata memoria11, amatore d’ogni dottrina e della musica particolarmente, in maniera che da tutti i musici con gran ragione ne vien detto il padre, compose alcune arie sopra parte di essa, delle quali invaghitosi, risoluto di vedere che effetto facessero sulla scena, conferì insieme col signor Ottaviano il suo pensiero al signor Jacopo Peri12, peritissimo nel contrappunto e cantore d’estrema esquisitezza : il quale, udito la loro intenzione e approvato parte dell’arie già composte, si diede a comporre l’altre, che piacquero oltre modo al signor Corsi, e con l’occasione d’una veglia il Carnovale dell’anno 1597 la fece rappresentare alla presenza dell’eccellentissimo signor don Giovanni Medici, ed alcuni de’ principali gentiluomini de la città nostra. Il piacere e lo stupore che partorì negli animi degl’uditori questo nuovo spettacolo non si può esprimere, basta solo che per molte volte ch’ella s’è recitata, ha generato la stessa ammirazione e lo stesso diletto. Per sì fatta prova, venuto in cognizione il signor Rinuccini quanto fosse atto il canto a esprimere ogni sorta d’affetti, e che non solo (come per avventura per molti si sarebbe creduto) non recava tedio, ma diletto [in]credibile13, compose l’Euridice, allargandosi alquanto più ne’ ragionamenti14. Uditola poi il signor Corsi, e piaciutole e la favola e lo stile, stabilì di farla comparire in scena nelle nozze della Regina Cristianissima15. Allora ritrovò il signor Iacopo Peri quella artifiziosa maniera di recitar cantando, che tutta Italia ammira. Io non m’affaticherò in lodarla, per ciò che non è persona che non le dia lodi infinite, e niuno amator di musica è che non abbia sempre davanti i canti d’Orfeo : dirò bene, che non può interamente comprendere la gentilezza e la forza del{NP2}le sue arie chi non l’ha udite cantare da lui medesimo ; però che egli dà loro una sì fatta grazia e di maniera imprime in altrui l’affetto di quelle parole, che è forza epiangere e rallegrarsi secondo che egli vuole. Quanto fosse gradita la rappresentazione di detta Favola sarebbe superfluo a dire, essendoci il testimonio di tanti principi e signori, e puossi dire il fior della nobiltà d’Italia, concorsi a quelle pompose nozze ; dirò solo che fra coloro che la commendarono, il Serenissimo signor Duca di Mantova ne rimase talmente soddisfatto, che tra molte ammirabili feste, che da Sua Altezza furono ordinate nelle superbe nozze del Serenissimo Principe suo Figliuolo e della Serenissima Infanta di Savoia, volle che si rappresentasse una favola in musica, e questa fu l’Arianna16, composta per tale occasione dal signor Ottavio Rinuccini, che il signore Duca a questo fine fece venire in Mantova : il signor Claudio Monteverde, musico celebratissimo, capo della musica di S.A., compose l’arie in modo sì esquisito, che si può con verità affermare che si rinnovasse il pregio dell’antica musica, perciò che visibilmente mosse tutto il teatro a lagrime.
Tale è l’origine delle rappresentazioni in musica, spettacolo veramente da principi e oltre ad ogn’altro piacevolissimo, come quello nel quale s’unisce ogni più nobil diletto, come invenzione e disposizione della favola, sentenza, stile, dolcezza di rima, arte di musica, concerti di voci e di strumenti, esquisitezza di canto, leggiadria di ballo e di gesti, e puossi anche dire che non poca parte v’abbia la pittura per la prospettiva e per gli abiti ; di maniera che con l’intelletto vien lusingato in uno stesso tempo ogni sentimento più nobile dalle più dilettevoli arti che abbia ritrovato l’ingegno umano.
Resta ch’io discorra (secondo la promessa) intorno ad alcuni avvertimenti che s’ebbero nel rappresentar la presente favola, molti de’ quali generalmente si ricercano e potranno per avventura17 servire in qualsivoglia altra rappresentazione. Primieramente avvertiscasi che gli strumenti che devono accompagnare le voci sole, sieno situati in luogo da vedere in viso i recitanti acciò che meglio sentendosi vadano unitamente ; procurisi che l’armonia non sia né troppa, né poca, ma tale che regga il canto senza impedire l’intendimento delle parole ; il modo del sonare sia senza adornamenti, avendo riguardo di non ripercuotere la consonanza cantata, ma quelle che più possono aiutarla, mantenendo sempre l’armonia viva18. Innanzi al calar della tenda, per render attenti gli uditori, suonisi una sinfonia composta di diversi istrumenti quali servono per accompagnare i cori e sonare i ritornelli ; alle quindici o venti battute esca il Prologo, cioè Ovidio, avvertendo d’accompagnare il passo al suono della sinfonia, non però con affettazione, come se ballasse, ma con gravità, di maniera tale ch’i passi non siano discordanti dal suono ; arrivato al luogo dove gli par conveniente di dar principio, senz’altri passeggiamenti cominci ; e sopra tutto il canto sia pieno di maiestà, più o meno secondo l’altezza del concetto gesteggiando19, avvertendo però ch’ogni gesto e ogni passo caschi su la misura del suono e del canto ; respiri, fornito il primo quadernario, passeggiando tre o quattro passi, cioè quanto dura il ritornello, pur sempre a tempo ; avvertisca di cominciare il passeggio sulla tenuta della penultima sillaba ; ricominci nel luogo dove si trova. Puossi talvolta congiugnere due quadernari per mostrare certa sprezzatura20. L’abito sia qual conviensi a poeta ; con la corona d’alloro in testa, la lira al fianco e l’arco nella mano. Fornito l’ultimo quaternario, entrato dentro il Prologo, esca il coro di scena21 ; il quale sarà formato di ninfe e di pastori, più o meno seconda la capacità del palco ; questi, uscendo l’uno appo22 l’altro, mostrino e nel volto e ne’ gesti di temere il rincontro del Fitone23. Il primo pastore, come sia uscito24 la metà del coro, cioè sei o sette tra pastori e ninfe (ché non vorrebbe esser formato il coro di manco25 che di sedici o diciotto persone) vòlto a’ compagni cominci a parlare ; e così cantando e movendosi, arrivi a luogo, ove dee fermarsi ; e formato il coro una mezza luna sulla scena, gli altri, o pastori o ninfe, seguitino il canto che tocca loro, gesteggiando secondo che ricerca il suggetto. Cantando l’inno « Se là su tra gl’ aurei chiostri26 », pongano l’un de’ ginocchi in terra, volgendo gli occhi al cielo, facendo sembiante d’indirizzare le lor preghiere a Giove. Fornito27 l’inno, levinsi in piedi, e seguitino : avvertendo, nel cantare Ebra di sangue, d’attristarsi o rallegrarsi secondo la risposta dell’Eco, la quale mostrino d’attendere28 con grande attenzione29. Dopo l’ultima risposta dell’Eco, apparisca il Fitone dall’una delle strade della scena ; e nell’istesso tempo, o poco dopo, mostrisi dall’altra parte Apollo con arco in mano, ma grande.
Il coro, alla vista del serpente, mostrando spavento, canti quasi gridando « Ohimè che veggio30 », e in quel medesimo punto ritirinsi i pastori e le ninfe per diverse strade, imitando fuga e timore, senza però volger interamente le spalle al teatro, o nascondersi del tutto, e resti Apollo ; cantando « O Divo, o Nume eterno », e col volto e co’ gesti cerchino di esprimere l’affetto del pregare. Intanto Apollo muovasi con passi leggiadri e fieri verso il Fitone, vibrando l’arco e recandosi le saette in mano, accordando ogni passo, ogni gesto, al canto del coro ; avvertisca di scoccar l’arco in quel tempo appunto che subito vi caschino su le parole « O benedetto stral ». Così, scoccando il secondo, avvertisca medesimamente che sia in tal tempo ch’ il’ coro seguiti « O glorioso arciero ». Il terzo strale potrà {NP3} tirare mentre si canta « Vola, vola pungente » ; al qual colpo, mostrando il serpente d’esser gravemente ferito, si fugga per una delle strade, Apollo lo seguiti, e ’l Coro, affacciandosi alla veduta di quella via, e cantando « Spezza l’orrido tergo », mostri di vederlo morire. Fornito il canto, ritorni sul palco al suo luogo a mezza luna : Apollo, anch’esso, tornando e passeggiando il campo, canti alteramente « Pur giacque estinto alfine31 » ; e, partitosi di scena, il Coro canti la canzone in lode d’Apollo, movendosi in seguito a destra, a sinistra e a dietro fuggendo però tuttavia l’affettazione del ballo. E questo sì fatto modo potrà servire in tutti i cori. Ma, perché bene spesso il cantore non è atto a far quell’assalto, ricercandosi per tale effetto, destrezza, salti e maneggiar l’arco con bella attitudine, cosa più appartenente a uomo schermitore e danzatore insieme che a buon cantore : e quando pur si ritrovasse in qualcuno attitudine e all’uno e all’altro, mal potrebbe dopo il combattimento cantare per l’affanno del moto, vestirannosi due da Apollo, simili ; e quello che canta esca invece dell’altro dopo la morte del Fitone, pur con lo stesso arco in mano, o altro simile, e canti, come s’è detto di sopra.
Questo cambio riesce così bene che niuno, per assai volte ch’ella sia recitata, s’è mai accorto dell’inganno. Chi fa la parte del Fitone, concertisi con Apollo, perché la battaglia vada a tempo del canto. Il serpente vuole esser grande ; e, se il pittore che lo fa, saprà, come ho veduto io, far ch’egli muova l’ale, getti foco, farà più bella vista ; sopra tutto serpeggi, posando il portatore di esso le mani in terra, acciò vada su quattro piedi.
Nella scena seguente e nell’ altre osservisi ch’i personaggi che parlano, non si confondano con quei del Coro, ma stieno avanti quattro o cinque passi più o meno, secondo la grandezza del palco ; mantenga il Coro tuttavia la forma di mezza luna. Avvertisca quel pastore che racconta la vittoria d’Apollo a Dafne, d’avanzarsi due o tre passi avanti gli altri, ed imitare co’ gesti l’attitudini usate da Apollo nel combattimento.
Ma venendo quel pastore a portar la nuova della trasformazione di Dafne, procurino coloro che sono su le teste32 del Coro, di ritirarsi tutti su quella parte del palco, dove possano rimirare in viso il Nunzio, facendosi alquanto avanti, e sopra tutto mostrino attenzione e pietà nell’ascoltare la dolorosa novella. La parte di questo Nunzio è importantissima ; ricerca espressiva di parole33 oltre ogn’altra.
Qui vorrei poter ritrarre al vivo, come fu cantata dal signor Antonio Brandi, altrimenti il Brandino34, chiamato pur da quella serenissima Altezza nell’occasione delle nozze, senza darne altri avvertimenti, per ciò ch’egli la cantò talmente, ch’io non credo che si possa desiderare più ; la voce è di contralto esquisitissima, la pronunzia e la grazia del cantare maravigliosa, né solo vi fa intendere le parole, ma co’ gesti e co’ movimenti par che v’imprima nell’animo un non so che da vantaggio35. Il coro seguente che, ragionando fra loro i personaggi piangono la perdita di Dafne, è assai agevole a intendere come proceda ; quando cantano insieme il duo « Sparse più non vedren di quel fin oro36 », il riguardarsi in volto l’un l’altro su quelle esclamazioni ha gran forza : così ancora quando cantano tutti « Dove, dove è il bel viso37 » ; non poca grazia arreca il muoversi secondo il moto de’ cori ; quando uniti insieme replicano « Piangete, Ninfe, e con voi pianga Amore ». La scena del pianto d’Apollo, che segue, vuole38 esser cantata col maggiore affetto che sia possibile : con tutto ciò, abbia riguardo il cantore d’accrescerlo, dove maggiormente lo ricercano le parole. Quando pronunzia il verso « Faran ghirlanda le tue fronde e i rami39 », avvolgasi quel ramuscello d’alloro, sopra il quale si sarà lamentato, intorno alla testa, incoronandosene ; ma perché qui è alquanto di difficoltà, voglio facilitarvi il modo per far questa azione con garbo. Scelgansi due ramoscelli d’alloro eguali (il regio40 sarà più a proposito), non di più lunghezza che di mezzo braccio ; e congiungendoli insieme leghinsi le punte, e con la mano tenga unito i gambi, di maniera che appariscano un solo ; nell’atto poi di volersene coronare, spiegandoli, se ne cinga il capo, annodando i gambi insieme. Ho voluto scriver questa minuzia, perché è più importante ch’altri non pensa : e benché paia così agevole, non fu però così facilmente ritrovata ; anzi, più volte nel recitarla s’era tralasciata tale azione, come impossibile a farsi bene, ancorché molti ci avessero pensato, perciocché il vedere in mano d’Apollo un ramo d’alloro grande fa brutta vista, oltre che malamente può farsene corona per non esser pieghevole ; e ’l piccolo non serve. Queste difficultà furono superate da messer Cosimo del Bianco, uomo oltre al suo mestiero diligentissimo, e di grande invenzione per apparati, abiti e simili cose.
Non voglio anche tacere che dovendo Apollo, nel canto dei terzetti41 « Non curi la mia pianta o fiamma o gelo », recarsi la lira al petto (il che debbe fare con bell’attitudine), è necessario far apparire al teatro che dalla lira d’Apollo esca melodia più che ordinaria42, però43 pongansi quattro sonatori di viola (a braccio o gamba poco rileva44) in una delle strade più vicina, in luogo, dove non veduti dal popolo, veggano Apollo, e secondo ch’egli pone l’arco su la lira, suonino le tre note scritte, avvertendo di tirare l’arcate pari, acciò apparisca un arco solo. Questo inganno non può essere conosciuto se non per immaginazione da qualche intendente, e reca non poco diletto.
Restami solo a dire (per non usurpare le lodi dovute ad altri, e arricchirmi quasi cornacchia dell’altrui penne) che l’aria del{NP4}l’ottava « Chi da’ lacci d’Amor vive disciolto45 », e quella che canta Apollo vittorioso di Fitone, « Pur giacque estinto al fine46 », insieme con l’altra cantata pur dal medesimo nell’ultima scena « Un guardo, un guardo appena47 », infino « Non chiami mille volte il tuo bel nome », le quali arie lampeggiano tra l’altre mie come stelle, sono composizione d’uno de’ nostri principali Accademici48, gran protettore della musica e grande intenditore di essa. Ricevete, cortesi Lettori, questo mio ragionamento non come avvertimento di maestro che pretenda insegnare altrui (non regna in me sì fatta presunzione), ma come fatica di persona che abbia diligentemente posto l’occhio a ogni minuzia osservata nel recitamento di tal favola ; acciò possiate con minor fatica, mercé di questo piccol lume, aprirvi il sentiero e giugnere a quella intera perfezione, che si richiede nella rappresentazione di simili componimenti. E vivete felici.