IdT – Les idées du théâtre


 

Prologue

Tempesta amorosa. Comedia di Alessandro Donzellini

Donzellini, Alessandro

Éditeur scientifique : De Capitani, Patrizia

Description

Auteur du paratexteDonzellini, Alessandro

Auteur de la pièceDonzellini, Alessandro

Titre de la pièceTempesta amorosa. Comedia di Alessandro Donzellini

Titre du paratextePrologo

Genre du textePrologue

Genre de la pièceComédie

Date1605

LangueItalien

ÉditionVenise, Roberto Meglietti, 1605, in-12°. (Lien vers l’édition numérisée bientôt disponible)

Éditeur scientifiqueDe Capitani, Patrizia

Nombre de pages5

Adresse sourcehttp://www.opal.unito.it/psixsite/Teatro%20italiano%20del%20XVI%20e%20XVII%20secolo/Elenco%20opere/image260.pdf

Fichier TEIhttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/tei/Donzellini-Tempesta-Prologue.xml

Fichier HTMLhttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/html/Donzellini-Tempesta-Prologue.html

Fichier ODThttp://www.idt.paris-sorbonne.fr/odt/Donzellini-Tempesta-Prologue.odt

Mise à jour2013-04-05

Mots-clés

Mots-clés français

GenreComédie

SujetModerne

DramaturgiePéripéties

LieuUnique : la ville de Viterbe

ActionSimplicité

Personnage(s)Personnages sérieux

ScenographieDécor

ReprésentationChants, musique

FinalitéPlaisir ; divertissement

AutreOrigine de la comédie

Mots-clés italiens

GenereCommedia

ArgomentoModerno

DrammaturgiaPeripezie

LuogoUnico : la città di Viterbo

AzioneSemplicità

Personaggio(i)Personaggi gravi

ScenografiaScena

RappresentazioneCanti, musica

FinalitàPiacere ; divertimento.

AltriOrigine della commedia

Mots-clés espagnols

GéneroComedia

TemaModerno

DramaturgiaPeripecias

LugarÚnico : la ciudad de Viterbe

AcciónSencillez

Personaje(s)Personajes graves

EscenografiaDecorado

RepresentaciónCantos ; música

FinalidadPlacer ; entretenimiento

OtrasOrigen de la comedia

Présentation

Présentation en français

Alessandro Donzellini, auteur originaire du Latium (Bolsène), actif entre la seconde moitié du XVIe siècle et la première du siècle suivant, reprend dans son prologue les arguments de certains dramaturges de la première moitié du XVIe siècle. Si nombre d’auteurs revendiquaient leur liens avec le théâtre de l’Antiquité, d’autres, dont Anton Francesco Grazzini dit Lasca (1504-1584) et l’Arétin (1492-1556) par exemple, insistaient en revanche sur l’originalité de leurs œuvres en rapport avec la sensibilité et les goûts de leurs contemporains. Le prologue de Donzellini penche du côté de ces derniers. La pièce qu’il introduit n’est ni d’origine antique ni d’origine étrangère, car l’action se déroule dans la ville de Viterbe, ainsi que l’indique le décor. Le prologue n’aborde pas non plus de questions d’ordre théorique, dramaturgique, philosophique, voire astronomique ou astrologique. Le seul contact avec la tradition concerne la fable de la comédie qui porte sur des amours contrastées et contrariées par la fortune ainsi que l’indique le titre. D’après le prologue, en effet, une comédie ne doit pas tant viser à l’édification du public que frapper ses sens, notamment l’ouïe et la vue, par la musique et le spectacle. Nous sommes donc loin de la conception de la comédie qui instruit ; le spectacle vise plutôt à divertir et à distraire. Tout cela correspond au peu que nous savons sur Donzellini, qui faisait partie d’un groupe de dramaturges romains et plus généralement du Latium, auteurs de comédies et des livrets d’opéras pour la cour papale. Celle-ci était revenue durablement au théâtre, à la musique et aux spectacles après le jubilé de 1575 qui avait marqué une rupture avec l’époque précédente, caractérisée par la présence à Rome du Cardinal Charles Borromée, partisan d’une vision rigoriste de la vie catholique1.

Présentation en italien

Alessandro Donzellini, autore di origine laziale (Bolsena), attivo tra la seconda metà del XVI secolo e la prima del successivo, riprende nel suo prologo gli argomenti di certi drammaturghi della prima metà del XVI secolo. Se buona parte degli autori del XVI secolo rivendicavano i loro legami con il teatro degli Antichi, altri, fra i quali Anton Francesco Grazzini detto il Lasca (1504-1584) e l’Aretino (1492-1556), ad esempio, insistevano invece sull’originalità delle loro opere legate alla sensibilità e ai gusti del pubblico coevo. Il Prologo di Donzellini propende per questi due ultimi autori. La commedia che questo introduce non presenta né un’origine antica né straniera, poiché l’azione si svolge nella città di Viterbo come lo indica l’allestimento scenico. Il Prologo non affronta nemmeno questioni di ordine teorico, né drammaturgico, né filosofico, né astronomico e nemmeno astrologico. Il solo contatto con la tradizione concerne la favola della commedia che tratta di amori contrastati e contrariati dalla fortuna come indica il titolo. Secondo il Prologo, infatti, una commedia non deve tanto edificare il pubblico quanto colpire i sensi dell’udito e della vista attraverso la musica e lo spettacolo. Siamo lontani, quindi, dalla concezione della commedia che istruisce e più prossimi all’idea di uno spettacolo che tende a divertire e a distrarre. Tutto ciò corrisponde a quel poco che sappiamo su Donzellini che apparteneva ad un gruppo di drammaturghi romani e laziali che producevano commedie e libretti d’opera per la corte papale. Rinasceva in effetti in essa il gusto per lo spettacolo scenico e musicale dopo il giubileo del 1575, punto di rottura con l’epoca anteriore caratterizzata dalla presenza a Roma del cardinale Carlo Borromeo fautore di una visione rigorosa della vita cattolica2.

Texte

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Prologo

{10 r°} Spettatori, io non ho voluto venire innanzi a voi in questo nobilissimo teatro in abito incognito o straniero fingendo esservi portato dall’isole d’Eolia da Zefiro o da Noto per dirvi con maniere inusitate e nuove le parti prima incognite ai naviganti o mostrarmi bene ammaestrato in quelle scienze, nelle quali sono molti fra voi più che mediocremente intendenti, e altri ne fanno professione a balista carica3. E mentre con gioia qui raccolti pensate di udire una commedia non vi siete ingannati punto. E per non differire il piacere che quindi4 cavare o sperate o bramate, alti intelletti5 lascio di comune sentenza di questi miei maggiori che mi mandano a voi far discorso, se l’amor che vi portano sia per elezione o per causa, come si ami e come vuole o deve esser temprato l’amo{10 v°}re e l’amicizia e altre cose che fuori dall’occasione e del tempo noia piuttosto apporterebbero che utilità o diletto. Oppure perché questa commedia (credo bene che vi accorgiate che questo mostra la scena che vedete) sia differita in questo punto, le difficoltà, i disturbi e altre cose che vi concorrono, poiché voi stessi immaginar le potete, ovvero sarebbero inutili e soverchie. O aggiungervi come appendice se a questo concorrono i segni celesti e gli influssi loro, i quali oltre la volontà nostra non hanno impero sopra di noi, come sanno quelli che s’ingabbiano nella sfera discorrendo sopra le regioni del Polo Artico e Antartico, che io come non professore delle scienze matematiche resterei astratto per linea perpendicolare al nostro Zenit. Questi spettacoli, mi direte, constano di pittura e di poesia, libere ambedue e d’ogni legge sciolte ; ed eccovi generosi spiriti che punto non v’ingannate, ed io vengo a farvi sapere che in questa scena si ha da rappresentare una commedia e nel medesimo tempo gli occhi appagherete e l’udito, sensi tanto cari e necessari a chi spira, a chi vive. Così, tolta vi sia la tediosa lunghezza di dichiararvi quali siano gli artifici dei capitelli corinzi, quali intagli dorici, quali fre{11 r°}gi compositi o ionici o pur le porte di bugni rustici e toscane, che oltre che s’è andata seguitando la semplicità amica della natura, voi il tutto ben considerate e intendete se cosa v’è degna del negozio e di voi. Tutto questo vi lascio, e lascio ancora il ripetervi la nobiltà della scena per la sua grandezza, per gli uomini che gli hanno dato vita e per le città principalissime che vi diedero opera in quei beati tempi. Dai quali secoli a noi si conservano appena alcuni antichi vestigi di teatri, anfiteatri, prosceni ed altri tali che quanto dissi ravvivano agli intelletti nostri. Per il che si contende ancora tra i Greci e noi chi ne fosse l’inventor primo e la Toscana stessa fin qui è sugli avvisi, con la lancia sulla coscia per provare e difendere che diede il primo modello della scena dove cantarono, benché rozzamente, i primi agricoltori dopo le rendute grazie a Bacco, Cerere e Pomona, sui primi freddi autunnali, satire e villesche, ballate, con semplicetta scorza coperto il volto dove il rossor più appare, ornati di spighe e d’uve. E in quella lingua, che mercè della potenza dei Romani s’è fatta incognita e oscura, che fu il parlare etrusco, del quale nessuno uso abbiamo, se non poche figure da noi non intese né da altri. Più alto pog{11 v°}giar6 convienmi nel ragionar con voi e scoprirvi un segreto sin qui non bene inteso, ed è tale, che noi obbligati alle virtù vostre, veniamo a far mostra di noi solo per avere in premio l’esser’amati. A voi nobilissime donne un altro di più importanza, che è quell’affetto che ha operato in noi tanto di farci vostri servi non ad altro fine che di lodarvi e onorarvi, ed in questa azione sia giudice amore stesso, mentre le accese scintille dei nostri cuori, ripercosse dal ghiaccio dei vostri candidi seni, fanno disuguale, ma pur comportato7 da noi premio al servir nostro. E se bellezza e crudeltà congiurate insieme siano degne d’esser comportate nel suo regno e volendovi ostinatamente far palese, benché senza frutto e senza speme, quanto siano gravi le amorose cure degli amanti, e sospiri cocenti, i pensieri torbidi, i disegni fallaci, le noie gravi, i martiri certi, le speranze dubbie, ecco vengono a farvi dono delle fatiche loro in rappresentarvi una commedia sotto nome di Tempesta Amorosa. Ma perché così orrido nome non vi spaventi vi s’impone la prudenza di personaggi gravi per tener gli animi vostri pieni di gioia e di contento. Restami a dirvi che quella città è Viterbo, o quello mostra almeno, emu{12 r°}la di Cinto e di Parnaso. Ma bene a queste altissime torri conoscer la potete, ed ecco il pittore padre d’Alcide giovenetto Scolare innamorato e seco Olindo suo servitore: uditeli.

Il fine del Prologo.