Lacentaura (Andreini, Giovan Battista) : Préface

Andreini, Giovan Battista « Lettori cortesissimi » in Andreini, Giovan Battista La centaura, soggetto diviso in commedia, pastorale, e tragedia. Venise, Salvador Sonzonio, al segno dell’Olivo, 1633, In-12°. (10 p.) http://www.urfm.braidense.it/rd/01901.pdf

Berger, Cécile.

Mots-clés

Mots-clés français

Genre : Comédie ; pastorale ; tragédie.
Sujet : Extravagant ; jumeaux.
Dramaturgie : Division en actes (trois plutôt que cinq) ; vraisemblance ; chœur ; intrigue complexe.
Lieu : Unité ; lieu triple : ville, campagne, palais ; chambre, lit du roi (intérieur / extérieur).
Temps : Unité.
Action : Tragique (trahison, complot, secret).
Personnage(s) : Allégories ; chœur ; messager ; roi ; bergers ; furies et fantômes.
Scénographie : Pompe ; costumes (des jumeaux).
Représentation : Public ; renvoi à liste de conseils.
Réception : Lecture / représentation (version abrégée pour la scène ; perception des jumeaux.
Expression : Prose / vers ; emphase ; récit de messager.
Rapports professionnels : Collaboration avec son père, Francesco Andreini.
Autres : Remarques sur la Florinda (lieu) ; longueur.

Mots-clés italiens

Genere : Commedia ; pastorale ; tragedia.
Fonti : ..
Argomento : Stravagante ; gemelli.
Drammaturgia : Divisione in atti (tre piuttosto che cinque) ; rispetto delle regole ; naturale ; verisimiglianza.
Luogo : Unità ; luogo triplice : città, campagna, palazzo ; camera ; letto del re (interno / esterno).
Tempo : Unità.
Azione : Tragico (tradimento, complotto, segreto).
Personaggio(i) : Allegorie ; coro ; messo ; re ; pastori ; furie e fantasmi.
Scenografia : Pompa ; costumi (dei gemelli).
Rappresentazione : Pubblico ; rinvio a lista di consigli.
Ricezione : Lettura / rappresentazione (versione abbreviata per la scena) ; percezione degli gemelli.
Espressione : Prosa / versi ; enfasi ; racconto del messo.
Rapporti professionali : Collaborazione col padre, Francesco Andreini.
Altri : Osservazioni sulla Florinda (luogo) ; lunghezza.

Mots-clés espagnols

Género : Comedia ; pastoral ; tragedia.
Tema : Extravagante ; gemelos.
Dramaturgia : División en actos (tres en vez de cinco) ; verosimilitud ; coros ; intriga compleja.
Lugar : Unidad ; lugar triple : ciudad, campo, palacio ; habitación ; cama del rey (interior / exterior).
Tiempo : Unidad.
Acción : Trágica (trahición, complot, secreto).
Personaje(s) : Alegorías ; coro ; mensajero ; rey ; pastores ; furias y fantasmas.
Escenografia : Pompa ; trajes (de los gemelos).
Representación : Público ; remisión a una lista de consejos.
Recepción : Lectura / representación (versión abreviada para la escena ; percepción de los gemelos).
Expresión : Prosa / verso ; énfasis ; relato de mensajero.
Relaciones profesionales : Colaboración con su padre, rancesco Andreini.
Otras : Observaciones sobre la Florinda (lugar) ; duración.

Présentation

Présentation en français

La centaura pourrait être considérée comme l’allégorie de la production théâtrale de Giovan Battista Andreini, puisqu’elle se compose de trois œuvres en une seule : une œuvre tricéphale dont le premier acte est une comédie, le second une pastorale et le troisième une tragédie. Publiée d’abord à Paris en 1622, La centaura eut également des éditions italiennes1, mais elle fut publiée dans la capitale parisienne en même temps que d’autres textes de la tournée française de la troupe des Fedeli2. Elle est qualifiée par Andreini d’œuvre extravagante, quasi monstrueuse, puisqu’elle est un mixte de trois genres théâtraux. Mais comme le montre clairement Franco Vazzoler, La centaura (dont on ignore si elle fut ou non représentée) est aussi le miroir, la photographie à un moment précis de la troupe des Fedeli3, ne serait-ce que par la distribution des rôles. Aussi l’œuvre est-elle avant tout une métaphore – ou plutôt, une allégorie – du voyage d’une troupe de comédiens, d’un genre à l’autre, à travers les trois actes. Mais l’essence de cette progression ressemble moins à une fusion ou à un simple mélange des trois genres qu’à leur métamorphose grâce à l’« union des opposés, du rire et des larmes, du bas et du haut, de la tragédie et de la comédie, qui fait songer aux tragi-comédies shakespeariennes »4, et qui est si chère à Giovan Battista Andreini. Par ailleurs, La centaura doit être perçue, comme souvent chez cet auteur, comme un texte à tonalité clairement méta-théâtrale : la pièce rassemble en effet, sous la forme d’une « exhibition de l’histrionisme »5, tous les genres théâtraux réunis. Dans la préface aux « lettori cortesissimi », La centaura offre à Giovan Battista Andreini l’occasion de développer un discours général sur le vraisemblable au théâtre, et notamment dans la tragédie, par le biais de diverses digressions concernant la pertinence du chœur tragique, l’unité de lieu et la manière dont celle-ci est perçue par le spectateur, ainsi que la mesure nécessaire dans l’expression des affects chez les personnages tragiques – lesquels, s’ils se montrent excessifs, risquent selon lui de sombrer dans le comique. Andreini y propose également une réflexion intéressante sur les répliques des personnages qui peuvent, si elles sont bien employées, servir à anticiper les changements de scènes ou de décor, ce qui révèle de la part de l’auteur, qui est aussi acteur et chef de troupe, sa parfaite connaissance des trucs de mise en scène et, plus particulièrement, des rapports entre le texte et la scène.

Présentation en italien

La centaura potrebbe venir considerata come l’allegoria stessa dell’intera produzione di Giovan Battista Andreini, essendo composta di tre opere in una sola : opera tricefala con il primo atto commedia, il secondo pastorale e il terzo tragedia. Edita dapprima a Parigi nel 1622, La centaura ebbe anche altre edizioni italiane6, ma fu pubblicata nella capitale parigina con altri testi della tournée francese dei Fedeli7. La centaura viene definita dall’Andreini come un’opera stravagante, quasi mostruosa, essendo un misto dei tre generi teatrali. Ma come lo dimostra chiaramente Franco Vazzoler, La centaura (di cui non si sa se sia stata o meno rappresentata) è anche lo specchio ossia la fotografia ad un determinato momento, della compagnia dei Fedeli8 attraverso la stessa distribuzione dei ruoli. Pertanto, l’opera risulta innanzi tutto una metafora – o meglio, un’allegoria – del viaggio, così rappresentato, di una compagnia di comici da un genere all’altro attraverso i tre atti. Ma l’essenza di tale progressione assomiglia meno a una fusione o a una mera mescolanza di tre generi, che a lla loro metamorfosi mediante la (tanto prediletta da Andreini) « unione degli opposti, di riso e pianto, di basso e alto, di tragedia e commedia che fa pensare alle tragicommedie shakespeariane »9. Peraltro, La centaura va percepita, come spesso in Giovan Battista Andreini, come un testo di schietto stampo metateatrale, nel senso che essa risulta addirittura un’allegoria, a mo’ di « esibizione dell’istrionismo »10, di tutti i generi teatrali riuniti. Nella prefazione ai « lettori cortesissimi », Giovan Battista Andreini coglie in un certo modo il pretesto de La centaura per svolgere un discorso generico intorno alla verisimiglianza nel teatro, e specie nella tragedia, mediante varie digressioni sulla pertinenza della presenza del coro, sulle questioni di unità di luogo nonché su come quest’ultima venga percepita dallo spettatore, e infine sulla necessaria proporzione nell’espressione degli affetti tragici da parte dei personaggi – i quali, se eccessivi, potrebbero anche risultare comici. Andreini vi svolge anche un’interessante riflessione sulle battute dei personaggi che possono, se utilizzate bene, anticipare i cambiamenti di scena, il che rivela da parte dell’autore, che è anche attorore e capocomico, un’ acuta conoscenza dei trucchi di messinscena e più particolarmente, dei rapporti tra testo e scena.

Texte

Lettori cortesissimi                

{4v} Avvezzo come scenico professore dar opere alla stampa recitative, oggi lo stesso costume seguendo, in Vinezia11 m’assicurai di stampare il presente componimento : ma fra tutti, o stampati o da stampare, non c’è il più stravagante di questo soggetto, intitolato la centaura12.

Quest’è un invenzione contrarissima in sé stessa, nel primo atto essendo commedia, nel secondo pastorale13, nel terzo tragedia.

Contrarii ancora sono gli elementi, e nondimeno arrecano vita a noi. Contrarie sono le discordi sfere, e cagionano quel soave concento ; e i contrari, con i contrari, fanno gli ottimi temperamenti, e ne risanano infermi14.

Artificioso è ’l costrutto di questo comico intrico : ma sì come da gli intorti giri del Minotaurico Labirinto co ’l filo d’Arianna Teseo n’uscì glorioso ; così da questo {5} ancor voi, ô Lettori, co ’l mezzo di Talia uscir potrete contenti.

E se l’ordine io non seguitai della divisione antichissima de’ cinque atti15, vò dietro16 almeno a quella delli tre ; non men canuta della prima. Poiché tanto in un giro di sole17 si può terminar18 un’azione recitativa in tre, come in cinque separazioni ; atteso che, se l’una segregazione fu innovata per purgar’ i cinque sentimenti del corpo19  ; e l’altra per sanar le tre potenze dell’animo20.

Quello che v’arrecherà forse più noia, sarà la cosa di stabilir un sol luogo una sola udienza a queste tre composizioni21, dovendosi in varii luoghi rappresentare; e come possa il comico esser pastore, e ’l bifolco re ; il che farsi non potendo, darà occasion di liberamente dire ch’altro che di centaura io non poteva imporre il nome a questo suggetto, come di più corpi, e mostruosissimo in se stesso22. Ma se ben si guarda all’aspetto di lei, non poteva darle e stabilirle altro che di tre forme di teatri l’adornamento; poiché, per quella parte c’ha di donna, se le conveniva la città, per quella d’animale la campagna, e per quello c’ha in se stessa di reale, la reggia23. Il dubbio solo rimane della sola udienza24 ed eccolo risolto.

La commedia si recita in Cortina25, antica città, fra le cento, che ’n Creta superbe {5v} s’alzavano, la quale (secondo le relazioni) è vicina al labirinto, opera di Dedalo.

E qui fingo, per l’occasione della fuga di Lelio e di Filenia della stessa Cortina, che i padri si dispongano, per farli consorti, a seguitar loro con molta gente, solennemente per far le nozze colà dove ritrovati saranno, la qual turba essendo spettatrice delle selve di Creta della Pastorale e della tragedia, si verrà a far quell’unione d’un sol popolo, ascoltatore dell’opera tutta26 in tre corpi divisi.

Se poi non ho trattato questo componimento in versi, come la dolcezza della pastorale e la grandezza della tragedia ricercava, questo feci sforzato dalla commedia, la quale come più licenziosa uscendo la prima in teatro, volle che della sua autorità moderna mi servissi, ch’era di discorrer di lei in prosa, e non in versi ; e così in questo stile seguitando, nello stesso dovessi ancor per dovuto decoro finire ; che altrimente facendo, non solo di centaura mostruosa, ma di spaventoso Gerione27 sarebbe stata rea di nome. Che si vegga una corona per l’aria, che l’Adulazione, la Bugia, l’Inganno e simili, vengano in scena in forma umana28, so ch’ alcuno dirà ch’ è regola inumana29, al che rispondo ch’ io poteva far senza queste così fatte cose ; perché il soggetto e si lega e si discioglie senza mascherate e miracoli per scena ; {6} ma s’io feci questo, il feci solo per l’adornamento, e per la pompa dello stesso teatro, alla quale si convien aver molto riguardo ; tanto più adornandolo di cose necessarie, e spettanti alla pompa tragica ; che troppa disdicevol cosa stata sarebbe che pomposa fosse la commedia e la pastorale, e poi la tragedia d’ogni adornamento miserabile e ignuda.

Ma che ? tutto giorno da buoni si veggono far comparir in teatro così fatte licenze ; come nelle pastorali amori in forma di pastori che fanno i prologhi, e nelle tragedie furie, ombre e simili.

Avverto ancora, che ’l letto reale dove si vedrà il re infermo, non è stravagante che si vegga30, benché alcuno forse potesse così dire che non è possibile, che que’ letti superbi che ’n tempo di malattie gravi sono chiusi nelle più retirate stanze, si possano vedere in palco ; e però chi non danna questo, è ben in tutto dannato31 : ma soggiungasi ancora per mia debole osservazione questo fiacco avviso ; e scusi l’arditezza di chi scrive, la gentilezza di chi legge32. Come, dich’ io, si concede nelle tragedie che il re, ch’ ha tante gallerie, giardini, gabinetti, se ne venga a dir i fatti suoi in istrada ? O sento dire : quella non è strada, è ’l foro reale del palazzo, e tale finger si debbe, in occasione di composizioni tragiche {6v}.

Ma come, replico io, è luogo solo che rappresenta il foro reale, s’ogni interlocutore ancorché abbietto, e vile, preme33 quel luogo, dove il re comparve ?

Non voglio entrar poi nella cosa de’ cori, ch’ altri stima cosa tanto di pompa necessaria al teatro reale, in quello non ci veggendo, e non causa di grandissimo fastidio34 ; poiché35, se lo tieni sempre stabile in scena, ti soggiungo, a che fine il tieni ? Perché, mi rispondono, quel coro è quello che piange, se piangi, e s’allegra, se se’ lieto ; e quel coro ti rappresenta il popolo. Quasi che sia così incredibile che ’n una città reale ci sia popolo36 ; or non si avveggono questi ch’ è intrico37, e poco decoro di teatro quello ch’essi stimano pompa necessaria.

Ad ogn’or nelle tragiche imitazioni si veggono tradimenti, veleni, rivoluzioni, e tutto con segretezza trattate, e chi non tratta cose di re tanto importanti fra duo sole lingue, o fra quattr’occhi (dato che non siano i congiurati, o guerci, od orbi38) sono rei d’essere senza lingue e senz’occhi.

Or come questo segreto sarà così furtivo dallo spettator ricevuto, s’ ad ogn’or avete su le spalle quel numero di tante genti unita in coro che v’accora ?

Vi leva pur il verisimile ; o dir mi sento, quel coro si finge lontano ; e come lontano se vicino39 ? {7}

Io per fuggir questo disordine di far che ’l re sia in camera e ’n teatro, non potendo un corpo in un tempo solo occupar duo luoghi, e per tralasciar questo coro sempre stabile in scena, composi già la Florinda tragedia40, e questa la finsi tra le selve di Scozia, accioché potesse il teatro star senza quel coro cittadinesco41, e perché il re potesse (come s’usa alla campagna) con un solo segretario o gentiluomo discorrer segreto, e non esser come dir si suole in sala e ’n camera. Così le congiure de’ veleni, l’uccisioni de’ ferri, e simili trattar si ponno42 senza (Atlanti ridicolosi) portar su le spalle un mondo d’infinite genti : osservai leggendo parimente la cosa de’ messi ch’uscendo in scena non addolorati, ma arrabbiati, diranno : « Deh, perché non bevei latte avvelenato ? deh, perché il mar non mi sommerge ? deh, perché fiamma del cielo non m’incenerisce ? ».

E queste così fatte cose sapete poi chi le dice ? uno, che nella morte di quelle persone reali non ci ha da far cosa alcuna. So che ciascuno debbe condolersi della morte del suo signore, ma con proporzione. Odasi in grazia43. La forza della poesia, o sia epica, o sia drammatica, si riduce sotto questo termine ristretto di facere aut fingere verisimilia44.

Or per istar nel verisimile, quando gia{7v}mmai, per le città ducali, reali e imperiali che pur tutte l’ho scorse, e quelle maestà servite, si trovò che, per la morte di questi grandi, un minimo suddito andasse dicendo le suddette cose ? Oh, la grandezza del poema tragico quasi tutta s’estolle45 in su l’eminenza del racconto del messo46.

Confesso questo ; ma con proporzionate cose, poiché, se nel principio il messo incomincia con esclamazioni inverisimili, a pietà non farà che si mova ma sì ben a riso, tenendolo47 più forsennato, che addolorato.

Or, per fuggir questo inverisimile far si potrebbe a mio poco giudizio48 che quel tale che si querela49 fosse persona interessata nelle speranze, e quand’ era per sormontar felice a quelle in cima50, morta col re ogni sua speme, dovesse come disperato allor prorompere in quella frenetica diceria.

Ma torniamo al nostro letto, per parlar più riposatamente ; dico che con alquanto giudizio il fo vedere, poiché questo letto, per la prima è letto portatile ; ma non dico però che questo solo si porti da per tutto, poich’è ben mal comodo quel re ch’abbonda di molte corone e poi ha la carestia d’un sol letto. Or mi fo più chiaro, e mi fo vedere, per non esser involtolato nell’oscuro delle coperte di questo letto.

Qui51 si tratta che ’l re impaziente52 di questo suo male, dall’alte camere si sia fatto portar alle basse, e dalle basse agli anditi, {8} dove per goder un pochissimo fiato d’aura53, se ne stia languendo ; mosso poi da una compunzione interna di dar l’anima al Cielo, desideri di rimirar lo stesso cielo, e perciò comandi d’esser portato su gli estremi confini della porta reale ; e qui parli con Artalone54.

Se l’opera tutta poi gettasse55 alquanto lunghetta, si considera, che sono tre opere in una ; e se la tragedia porta d’esser più grande in se stessa, che non sono insieme le duo altre antecedenti, s’abbia ancor questo riguardo, che questo è quel punto dove tutte l’altre linee vanno a terminare, e quel lambicco dove di tutto questo corpo drammatico s’ha da cavar la quinta essenza e, per dir così, l’olio filosofico56 ; ben è vero, che volendosi recitare, ho trovato il modo d’abbreviarla ; e per scemar la fatica ad altrui, questa sarà la maniera : cioè tutto quello che sarà segnato d’una stella, e di virgola57, tutto si potrà tralasciare, benché alla maestà della tragedia, ogni cosa c’ha del grave e del serioso lasciar si dovrebbe58.

E nel fin dell’opera similmente ci saranno tutti que’ facili modi59 che per me saranno stati possibili, per renderla men faticosa nella rappresentazione, incominciando dal prologo per in fino all’ultima scena60.

Or sù voglio finire, e per imitar il lume spento ch’allor che s’accosta al fine fa l’ultimo sforzo di luce61, anch’io ardisco giun{8v}to all’estremo del mio dire far passaggio in cosa che forse in tutto non sarà rea62 d’attenzione, ed è questa.

Ho letto i Simili63 di molti autori alla stampa, ed altri ho rappresentati, e ho veduti rappresentare, e ’n quelli vidi ad ogni ora un notabilissimo e ’nverisimilissimo errore.

E certo mi vò persuadendo ch’allor che questi tali danno alla stampa, o vero al teatro così fatti simili, gli diano miracolosi, come sieno ambi nati dal corpo della madre non solo simili di volto, ma simili di vestiti. Dio buono, s’uno è vestito con le calzette bianche, l’altro le ha candide ; se legaccie64 azzurre, l’altro le ha perse65, e così va discorrendo. E quest’ è poi un verisimile ? Sentomi dire : oh costoro perché non possono giammai esser così simili di viso, e perché quel viso è pochissima cosa, per rappresentar all’occhio quello ch’è tutto fondato in su la pompa di que’ simili, per quello si piglia questa licenza di vestirli in cotal forma per dar nell’occhio e dilettare ; poiché tanto la pompa teatrale (come tu dicesti) è lodevole, è vero il confesso, ma la naturale, e non la miracolosa66.

Io dirò il mio parere. Quand’io dovessi dar alle stampe simili, vorrei ancora trovar alcun ripiego credibile, come quello che leggendo troverete qui dentro e pur sarà cosa buona, o vero quello che si vede ne’ {9} duo Leli stampati pur in Parigi67, soggetto di Francesco Andreini mio signor padre, e dicitura mia ; la qual invenzion è questa : io fingo che questi duo fratelli in diverse parti essendo, abbiano intesa la morte del loro padre, e per questo vengano in teatro tutti duo di nero similmente vestiti, e ’n quel modo che si costuma in quella città, dove si rappresenterà la commedia, e tutto quello si fa per istar nel verisimile.

Se per licenza poi di teatro, si vorrà vestir questi simili tutti di rosso, con penne, calzette ed altre gentilezze simiglianti, pur seguendo la cosa del diletto, dirò che per error conosciuto sarà scusabile ; si com’io fò mia scusa d’essermi tolto giù del mio diritto filo68, più per compiacer’ a me stesso, che per dilettar ad altrui. S’è buono quanto ho detto laudatelo, e s’è cattivo biasimatelo, ch’io intanto e della lode vostra, e del biasimo egualmente lodandomi finisco.

Iddio vi feliciti.

Gio. Battista Andreini